Nostra Dea
Di Massimo Bontempelli. Con Maria Teresa Giachetta, Guido Lomazzo, Jacopo Marchisio, Stelvio Voarino. Regia dei Cattivi Maestri.

«Unico strumento del nostro lavoro sarà l'immaginazione. Il mondo immaginario si verserà in perpetuo a fecondare e arricchire il mondo reale. La vita più quotidiana e normale, vogliamo vederla come un avventuroso miracolo.». Così scriveva, spiegando la teoria del “realismo magico”, Massimo Bontempelli (1878-1960), grande narratore – Premio Strega 1953 con L'amante fedele - e drammaturgo, fascista della prima ora e poi avversario durissimo del regime, fino a rischiare la vita negli anni della guerra.
Nostra Dea debuttò a Roma il 22 aprile 1925, diretta da Luigi Pirandello. Protagonista era Marta Abba, al suo debutto col Teatro d'Arte di Roma. Capolavoro oggi un po' trascurato, inscena una storia di burattini e burattinai, dove i burattinai sono però soggiogati da chi dovrebbero manovrare: l'inafferrabile Dea, una perfetta donna-oggetto, completamente priva di autonomia di pensiero, che cambia temperamento a seconda degli abiti scelti dalla cameriera Anna, provocando – coi molteplici rovesci del suo comportamento – disastri e sconvolgimenti nella vita di chi le sta intorno. “Messa in moto” dai vestiti del suo armadio, ella conquista l'esteta Vulcano ammantata in un grigio che le dona personalità dolce e timida; energica e grintosa in abito più acceso e appariscente, inebria l'imbelle sognatore Marcolfo; sibila e sputa veleno sull’amore clandestino della contessa Orsa ricoperta dalle squame luccicanti dell’abito da ballo che le fa assumere movenze da serpente; predica povertà e perdono nel saio del frate. Detta così, la trama può apparire misogina: tuttavia, è anche capace di dire qualcosa sul temperamento e il ruolo sociale della donna italiana, perennemente costretta entro stereotipi da cui può liberarsi solo a prezzo di crearne di nuovi. Tutto ciò nello scintillìo di un dialogo rétro che la fa somigliare a un delizioso pezzo, per nulla invecchiato, di antiquariato teatrale, tra bizzarri personaggi dai nomi fiabeschi, tutti carichi di nevrosi e di tic, intenti a pronunciare battute assurde e a compiere azioni paradossali comportandosi come se ogni stranezza fosse perfettamente normale.
Non solo Dea, però, è viva solo nell'apparenza, forse lo siamo tutti: ed è ciò che vuole sottolineare la nostra messinscena. Per questo gli altri personaggi – ridotti a sei – sono divisi fra pochi interpreti: se la protagonista è una ma scissa, gli altri sono individui fatti e finiti e tuttavia come interscambiabili, maschere mutevoli di un'umanità egualmente frivola e inane, pronta a cambiare a ogni soffio di vento. Incalzante e lieve, il balletto dei travestimenti e degli equivoci si svolge tutto in scena, oppure nella “cabina-armadio” ove avvengono, celati o semivisibili, i travestimenti; gli abiti di Dea ingombrano il palco, lo invadono, come un labirinto di identità per orientarsi nel quale non vi sono che pochi oggetti nascosti e rivelati; la “vestizione” di una lampada è sufficiente a identificare un ambiente, mentre la recitazione gioca sul ritmo e le sue continue spezzature. Anche la musica compare laddove serva come mezzo per creare un ambiente (il salone da ballo del “Poliedric”): per il resto, poche frasi accennate di una canzone anni Venti sono ciò che occorre per sostenere e trasfigurare – più che commentare – questa celebrazione o caricatura dell'eterno femminino e delle schermaglie che movimentano il rapporto fra i sessi.


Produzioni per adultii - In distribuzione

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maria teresa giachetta e stelvio voarino

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