Un nemico del popolo 
                    Di Henrik Ibsen. 
                    Con Gabriele Catalano, Francesca Giacardi, Maria  Teresa Giachetta, Jacopo Marchisio, Federico Migliardi, Gianluca Nasuti,  Stelvio Voarino. Adattamento del testo di Jacopo Marchisio. Effetti sonori di  Massimo Bressan. Regia dei Cattivi Maestri. 
                     
                  Secondo Pirandello, Henrik Ibsen (1828-1906)  sarebbe non solo il creatore del teatro contemporaneo ma anche, dopo  Shakespeare, il più grande drammaturgo di sempre, capace di portare in scena in  anticipo la sofferta condizione esistenziale dell'uomo del Novecento e perfino  del Duemila. 
Scritto  a Roma nel 1882, rappresentato a Kristiania nel 1883, Un nemico del popolo è  una commedia enigmatica: satirica e sferzante, ma anche segnata dalle  contraddizioni che attraversano il personaggio del titolo e dalle controversie  critiche che ne hanno accompagnato la fortuna. 
Ambizioso,  iracondo, incapace di accorgersi dei disagi che infligge a chi gli è accanto,  il dottor Stockmann è però un uomo onesto: e quando scopre che l'acqua degli  stabilimenti termali della sua città è inquinata, si precipita a denunciare la  cosa perché le autorità possano intervenire. La reazione però sarà diversa da  quella che si aspettava e toccherà proprio a lui lo scomodo ruolo di «nemico  del popolo». Stockmann pagherà con la povertà, l'isolamento e forse la follia  il suo ruolo di intellettuale lucido ma solitario, appassionato ma non davvero  solidale, che non sa dare alla propria rivolta un compito significato sociale;  e intorno a lui l'avidità, il cinismo e il trasformismo plasmano facilmente una  maggioranza di cittadini molto – troppo – facilmente manipolabile.  
Nello  spettacolo, la vicenda (accompagnata simbolicamente dall'ossessivo rumore  dell'acqua che scorre sempre più) è letta come una partita: lo scontro  personale tra i due fratelli Stockmann, l'intellettuale e il politico, assume  gradualmente una dimensione collettiva, i tratti del conflitto tra un populismo  demagogico ma accattivante, ben sostenuto dagli interessi economici e dalla  stampa, e una volontà di cambiamento sincera ma sterile, resa inutile dal  roccioso isolamento cui si autocondanna con le proprie pretese di idealismo  astratto. In mezzo, la palude degli opportunisti e lo spaesamento di chi perde  ogni punto di riferimento.  
Così,  insieme alla comunità, si è rotto anche il palcoscenico, diviso tra le “zone di  influenza” dei diversi personaggi; e il pubblico stesso entra nella vicenda,  diventando anch'esso, in prima persona quella «maggioranza compatta» che i personaggi  ora idealizzano e ora disprezzano. Per questo gli attori non escono di scena ma  vanno a sedersi in sala: non è il loro dramma che si rappresenta, ma quello  della società di cui tutti fanno (facciamo) parte. 
 
 
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